La saudade italiana esportata e rivisitata
Quando un amore finisce, chi soffre non ha voglia di sentirsi dire che passerà, che altri ne verranno, come invece insistono a dire i papà ai figli quindicenni. Sergio Endrigo, nell’anno di tutte le ribellioni, cantò e vinse a Sanremo con una canzone dalla parte dei quindicenni. Chissà se finirà, se la mia mano afferrerà un nuovo sogno, se a un’altra ripeterò le stesse cose che dicevo a te. Intanto lasciatemi cantare le ultime parole famose (da cui si deduce che a lasciarlo è stata lei): la solitudine che tu mi hai regalato io la coltivo come un fiore. “Canzone per te” è così struggente che Amalia Rodrigues ne trasse un fado con chitarre portoghesi, trilli e tutto. Roberto Carlos, che nel ’68 aveva trionfato con Endrigo sul palco di Sanremo, qualche anno dopo si era già fatto crescere i capelli e, mescolando énnui, malizia e romanticismo mandrillo da marpione di Copacabana, era passato dalla parte dei papà: perché fingere che sarà l’ultima? Sicuramente ne verrà un’altra, e anche tu incontrerai un altro e ripeteremo parole già dette allo stesso chiaro di luna. Piccola nota lessicale: è forse la prima occorrenza della parola “storia” come sinonimo di flirt.