I vicini di casa di Basile: “Vittime anche noi”

Si sono detti vittime. Bersagli di pedinamenti, interrogatori, controlli talmente insistenti da non permettere loro di svolgere le consuete attività quotidiane. E colpevoli. Ma solo di aver udito le ultime grida di Peppino Basile, la notte in cui venne ucciso, e di aver tentato di soccorrerlo. Il minore ed il padre, vicini di casa del consigliere di Italia dei valori trucidato lo scorso 14 giugno, ieri hanno rotto il silenzio. E, per mezzo dei legali difensori Roberto Bray ed Antonio Melileo, hanno depositato un memoriale in cui hanno parlato di atteggiamenti persecutori nei loro confronti nel corso dei nove mesi di indagini della magistratura. “Con un macabro tintinnare di manette – si legge nel documento – ci viene prospettata la possibilità di una condanna a 20 anni di reclusione in qualità di possibili concorrenti nella commissione del delitto. O addirittura ci viene chiesta in continuazione una confessione come autori dell’omicidio”. I due indagati chiedono l’archiviazione dei procedimenti a loro carico e si dichiarano sinceri, motivando le contraddizioni riscontrate nei diversi interrogatori cui sono stati sottoposti solo con la pressione determinata dai fatti e con la concitazione di quella notte di quasi un anno fa.

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