Alla ricerca dell’uomo preistorico
Grotte e ripari del basso Salento nascondono storie millenarie. Numerosi i manufatti ritrovati:ceramica impressa e dipinta, schegge ossee intagliate, pietre incise…
di Antonio Lupo
Proponiamo un percorso archeologico che inizia dai luoghi della preistoria, sulle dorsali interne delle Murge salentine, per essere completato nei musei locali che ne custodiscono i manufatti e i preziosi reperti. Dalla serra di Sant’Eleuterio (Parabita – Matino) a quella di Ruffano, dalla grotta delle Veneri al santuario neolitico- messapico della Trinità e alla vicina cripta del Crocefisso (Ruffano) attraverso Sant’Ermete, fino al riparo “Bosco” di Supersano, nei pressi della Madonna di Coelimanna: sulle tracce delle origini paleolitiche, un itinerario a ritroso nel tempo più lontano per visitare i luoghi frequentati dall’uomo di Neanderthal, tra anfratti, cave di tufo e straordinari scorci panoramici, come quello che si può ammirare dall’alto della Madonna del Carotto. Una grotta nota per l’antico rito di iniziazione ( secondo la tradizione popolare era sicura la legittimità della nascita di chi riusciva ad attraversare il foro di comunicazione tra i due invasi ). Una passeggiata nel suggestivo contesto paesaggistico della civiltà della pietra tra boschi di ulivi, di querce e di lecci,o nella macchia mediterranea; dove sono stati rinvenuti strumenti litici e ceramici e resti faunistici di una terra abitata dall’alca, dal cervo e dall’ippopotamo. Un territorio carsico che ha restituito frammenti ossei di fauna del periodo delle prime glaciazioni ( Pleistocene), abbondante materiale in selce lavorata nel Paleolitico medio nonché vasellame di forma e tipologia diversa, oggi nei prestigiosi musei di Maglie (“ L’Alca” ), Lecce ( “S. Castromediano” ) o in quello nazionale di Taranto. Le prime testimonianze risalgono a resti di animali tipici dell’habitat ambientale del clima temperato caldo.Nel periodo del Pleistocene,dopo la glaciazione detta wurmiana, numerosi “antenati” selvatici del bue e del cavallo popolano le nostre grotte e i pianori antistanti . Proprio da una scheggia ossea di bos primigenius o di equus caballus è stata ricavata nel periodo del Paleolitico inferiore ( 8-10 mila anni fa, clima temperato freddo) la famosa statuina di figura femminile dal ventre prominente ( h.9 cm.) alla quale fa da pendant l’altra di dimensioni minori ( h.6,1), quasi un pendaglio uncinato.Si tratta delle cosiddette Veneri di Parabita, simboli della fecondità, che hanno dato il nome alla grotta nella quale furono scoperte nel 1966 da un appassionato locale, data d’inizio di continue ricerche archeologiche ( resti scheletrici di due individui, frammenti di macromammiferi, ceramica impressa e dipinta etc.) proseguite anche nel riparo esterno. Il ritrovamento di abbondanti manufatti di industria paleolitica, tra cui pietre e ciottoli incisi con motivi geometrici e scalariformi (a grata ), eccezionali testimonianze di arte mobiliare “astratta” fa del sito uno straordinario contesto nel quale l’uomo della civiltà della pietra ha lasciato importanti tracce della sua cultura e della sua primitiva creatività. Si tratta di testimonianze che, come per altre grotte del Salento, comprese quelle costiere, ci riportano a quando si viveva solo di caccia e di raccolta, oppure di attrezzi che attestano la rivoluzione agricola del Neolitico. Proseguendo sul crinale, prolungamento della serra, troviamo il sito di Sant’Ermete, nella periferia di Matino, dove pure sono stati rinvenuti manufatti che vanno dal periodo musteriano arcaico ( fauna fossile di rinoceronte, bue, cavallo) al Paleolitico superiore (strumenti prismatici o piramidali in selce ( materiale microlitico, punte e raschiatoi grattatoi, lame, pugnali ). Attraversiamo Casarano fino a contrada Sant’Elia, costeggiando l’omonima chiesetta e l’antistante frantoio ipogeo fino alle masserie Molino e Bufolelle, percorriamo la stradina che s’inerpica ripidamente in salita per portarci sul versante più alto. Si giunge così alla grotta della Trinità (Ruffano), nascosta tra uliveti e macchia mediterranea. In completo stato di abbandono, custodisce una storia dedicata al culto fin dall’età dei metalli e una frequentazione durata fino al XVIII secolo e oltre. L’imboccatura con il cancello divelto testimonia i continui scavi clandestini a cui è stata sottoposta, ma l’antro primitivo con il grande foro-luce all’entrata merita una sosta. La caverna, affrescata in età moderna quando diventa chiesa della Trinità, ha restituito straordinari reperti di cultura materiale che vanno dal neolitico al periodo messapico, fino a quello alto-medioevale. Dai frammenti con sequenze di lettere dell’alfabeto messapico alla ceramica di importazione corinzia, dai pugnali di selce alle lucerne dell’VIII sec d.C., un corredo cultuale documentato nel tempo che oggi può essere in parte ammirato al Museo provinciale di Lecce. Ritorniamo sul sentiero che conduce alla sommità della serra fino alla cripta del Crocefisso con la facciata in muratura, sovrastata da un cenobio di appartenenza dei monaci Olivetani. Le testimonianze litiche e faunistiche ritrovate nel pianoro antistante attesterebbero la frequentazione in età primitiva; sulle pareti dell’ingresso compaiono incisioni a forma di scudo di incerta datazione. Inoltrandoci nella grotta interamente naturale e procedendo verso il dipinto “plastico” della Crocefissione realizzato sulla sporgenza ultima della roccia, passiamo dalla preistoria alla santità del medioevo e alla narratività degli affreschi del XVI-XVII sec. Dopo aver spaziato con lo sguardo sui paesi dei dintorni che qui si riuniscono per la tradizionale festa del 3 di maggio ( Casarano – Ruffano – Taurisano) e sul resto del panorama fino alla costa, riprendiamo la strada che dalla contrada della masseria Manfio si immette sulla provinciale e drigiamoci verso Supersano. All’altezza del bosco si trovano ripari sotto roccia, come quello di forma ellittica a 103 m. sul l. del mare, attinenti al vicino villaggio paleolitico di località Scorpo. Come per Sant’Ermete si tratta di un deposito antropico: strumenti del Paleolitico e resti di fauna. Concludiamo l’itinerario con la visita alla cripta della Madonna della Coelimanna per ritrovare, accompagnati dagli sguardi assorti e ieratici dei santi bizantini una continuità storica che dal “linguaggio” delle pietre arriva ai giorni nostri.
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