L’ultima caccia di Federico Re

La “ caccia ” nei testi del narratore Antonio Errico, recentemente premiato per la letteratura (Foglia di tabacco)

La tematica della caccia e/o della ricerca di qualcosa d’introvabile, vero e proprio “topos” con valenze allegoriche ampiamente sviluppate nella letteratura e nelle arti figurative di ogni tempo, ritorna più volte nell’opera dello scrittore, come disperata e ambigua condizione di chi insegue ma è nello stesso tempo inseguito

Traendo spunto dal breve racconto pubblicato in Favolerie (Manni,1996), Antonio Errico sviluppa la stessa tematica,ne L’ultima caccia di Federico Re (Manni, 2004). Tutta la narrazione è anche qui giocata sull’ambivalente rapporto tra preda e cacciatore, dilatata in una prosa intensamente lirica, ricca di riflessioni esistenziali, poiché l’autore è convinto che “ se a qualcuno accade una volta di raccontare qualcosa, poi si ritrova volente o nolente a raccontare sempre quella stessa cosa ”. La disperata e ambigua condizione di chi insegue, ma è nello stesso tempo inseguito, vede questa volta l’imperatore Federico II considerare la sua sorte tra“ quello che è stato e quello che non è stato”, la sua solitudine e malinconia (la malesciana). In un linguaggio fortemente pregno di ossimori e di anafore, la personalità del fantoccio-“stupor mundi” viene così delineata sullo sfondo storico della cultura del suo tempo: personaggi, luoghi e situazioni sono quelli della sua corte . Anche in questo romanzo, Giorgio Caproni, citato in esergo( Leone o drago che sia,/ di fatto poco importa./ La storia è testimonianza morta./ E vale quanto una fantasia.), rivive nel linguaggio chiastico , caratterizzato da frequenti antinomie. In una prosa sempre lirica e melodiosa Antonio Errico innesta la tematica del continuo gioco ossimorico con la sorte, raccontando il conflitto interiore di un uomo, arrivato all’apice del potere, ma consapevole di non poter coniugare saggezza e potenza, pur ricercandole,tra salvezza e rovina, nella sua disperata caccia del niente. Fortemente pregna di significato perciò la metafora ricorrente del sentiero delle foglie morte (coloro che la notte ritornano lungo il sentiero delle foglie morte /la notte ritornano lungo il sentiero delle fogli marce/solo adesso che posso confondermi con le foglie già cadute,etc.). La vita del sovrano è sapientemente tratteggiata, nonostante la trama complessa e inquieta del suo vissuto e la sua personalità: laico-crociato, onorato e umiliato, nella sua estrema vitalità annoiata e nauseata; un uomo che aveva vissuto l’esperienza di fantoccio -“stupor mundi”. L’apice del potere fa tutt’uno col suo dramma interiore: il complesso rapporto con il figlio che gli si oppose, il dubbio di chi vuol essere amato, indipendentemente dal fatto “ che fosse colui che è stato ”. Le suggestive parole di Errico, rapide e leggere ..serene come passo di famiglia risultano ancora una volta di grande efficacia come la trascoloranza all’imbrunire,lo sfioro di vento… il fresco di marina, venate come sono di ricordi :il pittare, la cuddhura il corciulo, il pettirosso. Nella conocchia del pettirosso e nel “ rendere meno doloroso e più dolce la morte “ è semantizzato il gioco con la sorte” in un testo che non perde mai il suo ritmo affabulatorio :” sette i cavalieri..sette le dame..mille fini ha la storia ma una sola è la volta che puoi raccontare” .

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