La grotta della Trinità
E’ un santuario neolitico-messapico, ma è privata, e non soggetta a vincolo
di Antonio Lupo
Le prime testimonianze relative alla grotta preistorica della Trinità, oggi nella campagna tra le cave del Crocefisso e la cripta omonima, in una zona panoramica al confine del territorio di Ruffano, di cui fa parte, e Casarano ( contrada Manfio ), risalgono alla fine del Neolitico antico. Oltre ai resti di fauna fossile del Pleistocene , numerosi sono infatti i reperti di ceramica impressa, incisa e dipinta e i manufatti litici rinvenuti in questa caverna profonda più di trenta metri. Al Neolitico medio e finale e all’età del Bronzo ( II millennio a.C.) appartengono inoltre le scodelle con anse a rocchetto, ciotole e orcioli, e tazze di varie dimensioni e forma. La sua frequentazione durante l’età dei Messapi attesta l’elevato grado di cultura dei nostri antenati che possedevano un proprio alfabeto: non mancano infatti frammenti in terracotta con sequenze di lettere incise ( n, o, x, q) e decorazioni originali. Il vasellame per libagioni e offerte votive ha fatto sì che l’antro primitivo venisse considerato come un probabile santuario dell’antichità. I contatti con altre popolazioni in un sito che si trovava quasi al confine della città messapica di Ugento sono testimoniati dalla ceramica di importazione greca ( VII sec. a.C.), nonché da un oggettino in osso simile a quello ritrovato nella grotta dei Cappuccini di Galatone. Un luogo di straordinaria continuità storica e cultuale, dove non mancano testimonianze medioevali e moderne: le lucerne dell’VIII sec. dopo C. e gli affreschi del Cinquecento, quando viene adibito a Chiesa della S.S. Trinità, arredata con altari e abbellita con pitture parietali sacre. Così rimane l’invaso di origine millenaria fino alla visita pastorale del vescovo De Rossi (1711) e oltre.Dopo il sopralluogo di Alba Medea, eseguito in occasione del censimento delle cripte in Italia Meridionale (1939) cominciano gli scavi archeologici condotti sotto la guida dei docenti dell’Università di Lecce (1970-75), grazie ai quali si è potuta ricostruire e documentare la preistoria e la protostoria di una grotta così importante per l’entroterra salentino. Il primo archeologo a portare all’attenzione l’abbondanza e la ricchezza dei ritrovamenti è stato il compianto Giuliano Cremonesi, il quale era pure costretto a segnalare le manomissioni e l’alterazione della situazione originaria, un terreno sempre più sconvolto anche durante la ricerca di Anna Marinelli sulle lucerne del periodo alto-medioevale. Seguono poi i lavori di Cosimo Pagliara e quelli di Francesco D’Andria a completamento dello studio e delle indagini. Arriviamo ai giorni nostri e al mutato contesto ambientale, decisamente caratterizzato dall’espansione edilizia e, purtroppo, da ulteriori atti di vandalismo: la grata del cancello a protezione dell’entrata viene divelta, il terreno sempre più rimosso da scavi clandestini. Gli ultimi interventi sono oggi evidenti sia all’esterno che all’interno: in compenso lo spiazzo antistante è stata ripulito, il cancello riparato, l’ingresso della cavità reso più accogliente!
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