“Spazio 13”, quei ragazzi del “Libertà” che ci credono

Nel cuore del quartiere “Libertà”, territorio del clan Strisciuglio, una scuola abbandonata riprende vita e infiltra anticorpi contro la mafia, la rassegnazione, la paura

Mi sembra ancora di vederli i ragazzini delle medie che per fare filone scappano dalle finestre della scuola “Melo da Bari”, mentre l’insegnante spiega. Una scuola dove per un adolescente era così difficile sopravvivere, che le iscrizioni sono venute meno a tal punto che è stata chiusa. Per anni è stata lì, abbandonata nel cuore del quartiere Libertà, uno dei più popolosi e difficili di Bari, fino a che il Comune guidato da Antonio De Caro non ha deciso di partecipare ad un bando nazionale per la riqualificazione delle periferie, vincendolo (bando Anci “Avviso Pubblico Giovani RiGenerAzioni Creative”). Con un altro avviso pubblico Paola Romano (assessora Politiche educative giovanili, Università e Ricerca, Politiche attive del Lavoro, Fondi Europei), ha reclutato una quindicina di associazioni che hanno soffiato aria vitale nei polmoni del quartiere che boccheggia sotto la pressione dei clan e della criminalità comune.

Qui, tuttavia, il tasso di natalità è il più alto della città e l’età media degli abitanti è la più bassa. “Significa che le persone ci credono, che c’è ottimismo, che c’è tanto materiale su cui lavorare”, dice Paola, e sorride.

Così, la scuola diventa “Spazio 13”, un contenitore di innovazione sociale, uno spazio di coworking, un incubatore d’imprese etiche, un luogo dove pensare, fare, contaminare energie.

“Venite, vi faccio fare un giro”, ha detto Paola orgogliosa a me e Paolo Borrometi, dopo l’incontro sul “Diritto di sapere”, che ha aperto la rassegna “Orizzonti” organizzata da Ondocks, una delle associazioni di Spazio 13, nell’ambito del Festival “Documentari di Internazionale”.

Tavoli di legno, librerie, scaffali, sono stati fatti dai ragazzi e dalle ragazze del quartiere, guidati da architetti, nel laboratorio di falegnameria: “Abbiamo scoperto di avere nel quartiere dei tappezzieri geniali che hanno collaborato con noi”, dice Paola.

Di là, in un’aula colorata, i “Pirati culturali” sono in riunione, proiettando slide con la porta aperta. Entro, sorrido, faccio foto, ascolto stralci di conversazione, esco.

Spazio 13 è diventato “Spazio credici”. A pochi isolati da qui la collega Maria Grazia Mazzola, che stava girando un servizio per il Tg1, è stata picchiata da Monica Leara, moglie del boss Lorenzo Caldarola, affiliato al clan Strisciuglio. È accaduto in via Francesco Petrelli, a pochi passi dalla parrocchia del Redentore, e a meno di 500 metri da via Colonnello de Cristoforis, dove siamo noi.

A 100 passi dalla strada dove è stata aggredita Maria Grazia, quattro anni fa fu ucciso Florian Mesuti, un ragazzo di 25 anni originario dell’Albania. Lo ha ucciso Francesco, 22 anni, condannato a 14 anni di carcere, figlio del boss Lorenzo Caldarola e di Monica Leara, la donna che ha picchiato la collega del Tg1.

Florian era intervenuto nella zuffa tra due gruppi di adolescenti per separarli, mollando un ceffone ad un quindicenne parente del boss, decretando così la sua morte.

In questo quartiere che si chiama Libertà, dove i presìdi del clan e delle varie famiglie si vedono, sono sotto gli occhi di tutti e controllano una popolazione di 31mila abitanti con matematica precisione, con postazioni in ogni isolato, qui dove il nome Libertà è un auspicio e non una realtà, con Paolo Borrometi e i ragazzi di “Spazio credici” e una giovane assessora comunale abbiamo parlato di libertà di informazione, di “diritto di sapere” e di quanto costi garantirlo. Un argomento impopolare da queste parti: fuori dalla sala dove parliamo non c’era certo la fila per entrare. Saranno stati i poliziotti della scorta a protezione di Paolo ad intimidire gli abitanti?

Costa, e molto, garantire ai cittadini il loro “diritto di sapere” ottemperando al nostro “dovere di raccontare”. Ma ne vale sempre la pena. Quanto trasformare uno “spazio 13” in “spazio credici”. Sotto gli occhi dei boss. Dove alcune ragazze e ragazzi, occupando una scuola, provano a ridare “Libertà” alla città. Dal basso, con rispetto e delicatezza, ma con fermezza. Togliendosi le scarpe prima di entrare.

 

 

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