L’altro Natale

Viaggio tra chi trascorre la festa più attesa dell’anno nel cono d’ombra proiettato dallo sfavillìo degli addobbi. L’altro Natale spesso è un luogo dell’anima, fatto di solitudine e sofferenza. E’ proprio lì, però, che solidarietà e umanità trovano spazi ampi e silenziosi per esprimersi. E saperlo, fa tanto bene al cuore. Per questo abbiamo voluto illuminare quel cono d’ombra. Tre puntate, alla scoperta di storie di riscatto dove il Natale riscopre il suo vero significato. Al di là di ogni lingua e religione, uomini e donne accomunati solo dal loro essere persone su questa Terra, che si danno la mano l’una con l’altra.

Patù, casa dei rifugiati (foto Ilaria Lia)

 di Ilaria Lia

 

INCHIESTA (prima puntata)

Dove c’è molta luce l’ombra è più cupa. Le luci degli addobbi rendono tutto più bello e immergono ognuno di noi nella magica atmosfera del Natale. Regali, cene, fasti e abbondanza. L’idea del Natale è anche questa. Purtroppo, il cono d’ombra prodotto nasconde una parte della popolazione, che vive il Natale in modo diverso. Se questa è la festa della famiglia, dello stare a casa insieme, in molti non hanno la fortuna di viverlo degnamente.

Chi vive in quell’ombra e soprattutto come vive?

 

I dati

Da diversi anni gli italiani hanno iniziato a confrontarsi con “gli altri”, intesi come migranti arrivati per cercar fortuna qui. E hanno iniziato a relazionarsi con usi, costumi e soprattutto religione diversi. Dai dati contenuti nell’ultimo Rapporto sull’immigrazione 2016 si conta che, al 31 dicembre 2015 risultano residenti in Puglia 122.724 stranieri, il 3 percento sulla popolazione totale, contro la media del Sud Italia (4 percento) e quella nazionale (8,3 percento): in Puglia, quindi, è presente il 2,4 percento degli stranieri residenti in Italia. Molti di questi sono titolari del permesso da rifugiato e sono ospiti delle strutture d’accoglienza. Il Natale vissuto dagli ospiti dei Cas (centri di accoglienza straordinaria) o Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è nel rispetto delle tradizioni locali. Solo pochi di loro sono cristiani.

“Non si vedono per strada, non danno fastidio a nessuno” afferma l’operatrice del centro Sprar di Patù riferendosi ai ragazzi che segue. Purtroppo però non tutti gli stranieri possono raccontare esperienze positive. Chi è uscito dai progetti di protezione, chi è arrivato come migrante economico ma poi non ha trovato un nuovo lavoro per sostentarsi rimane inevitabilmente ai margini. per loro Natale non ha significato. Le case abbandonate così come qualsiasi altro rifugio incustodito e nascosto le loro dimore. Sono i più deboli, spesso facili prede della criminalità. A cercare di prendersi cura di loro sono le associazioni di volontariato.

Per chi, invece, ce l’ha fatta a lasciarsi dietro fame e violenze il Natale ha il gusto della serenità. “Per me Natale significa pace e per questo, anche se sono musulmano, lo festeggio con la mia famiglia” – Khalid Kakar è un afgano, arrivato qui come rifugiato nel 2011 e ora integrato perfettamente a Casarano, dove vive con la moglie e tre figli. “Nel Corano si parla di Gesù e si invita a rispettarlo – continua – e noi lo facciamo con piacere, non potrebbe essere diversamente, io sono grato all’Italia e al Salento che mi hanno accolto e mi hanno fatto scoprire il vero senso dell’umanità e dell’ospitalità. I miei figli partecipano alle recite e alle iniziative che fanno a scuola, stanno crescendo nella cultura italiana. I giorni di festa li trascorrerò con le persone che mi hanno accolto a Tiggiano, dove ho trascorso i primi anni appena arrivato in Italia, e sulla mia tavola ci saranno piatti salentini e quelli del mio paese”.

Una convivenza naturale che non è tanto scontata soprattutto nel periodo natalizio quando l’attività didattica si incentra sui preparativi alla festa e si domanda: il presepe va fatto o no? È il punto di partenza del libro “Eccessi di culture” dell’antropologo Marco Aime, che inizia la sua riflessione proprio dagli episodi di cronaca riguardanti le decisioni prese da alcuni dirigenti di abolire i segni cristiani in nome del rispetto. Aime invita a non caricare troppo di ansia il processo di convivenza sociale e nelle nostre scuole forse è stato naturale: e così a Patù, le maestre hanno chiesto alle due bambine straniere se volessero partecipare ai preparativi natalizi e loro hanno accettato, così come i figli di Khalid a Casarano.

Lenire la mancanza dei genitori e la nostalgia di casa, presente in tutti i migranti, specialmente se sono piccoli, è il duro compito di chi si occupa dei “minori stranieri non accompagnati”, i minorenni arrivati in Italia senza genitori o adulti che li abbiano sotto protezione.

Si conta che nel 2016 siano sbarcati in Puglia 1.841 minori stranieri non accompagnati, in Italia sono stati 25.846, numero cresciuto di 6 volte rispetto al 2011 (4.209) (Fonte: Save the Children – 2017). Una volta arrivati in Italia vengono affidati nelle case famiglia o nelle strutture d’accoglienza per minori e lì rimarranno fino al raggiungimento della maggiore età. Il Natale più freddo e brutale, però, è quello trascorso dalle donne in strada. A vendere il proprio corpo anche in giorno di Natale a uomini senza scrupoli che hanno una casa e una famiglia.

 

Il Natale nei centri d’accoglienza

Si chiama “A tavola con noi” il programma dell’Arci che sprona i cittadini ad invitare un ospite di un centro Sprar o Cas a casa per il pranzo di Natale. “L’anno scorso ho avuto una bella esperienza – dice Mamadou in un italiano quasi stentato – spero di rifarla. È stato bello scherzare e ridere, un vero giorno di festa”. L’iniziativa è aperta per tutto l’anno ma specialmente in questo periodo si punta ad avere maggiore interazione tra cittadini e rifugiati. Per portare avanti un vero e proprio scambio di culture, magari anche culinarie. Chi verrà ospitato trascorrerà così il giorno di Natale, altrimenti rimarrà nella sua casa. “Sono musulmano – confessa Nabil cercando di parlare in inglese – io non festeggio il Natale ma ho molto rispetto per la festa”. E prima di ritornare alla sua lezione di italiano saluta con un “Buon Natale”. Lo spirito natalizio è già entrato da tempo in tutte le strutture d’accoglienza, con le decorazioni per abbellire le strutture, con delle attività specifiche per gli ospiti.

“È compito nostro far capire quale sia la nostra cultura e cercare di coinvolgerli, per quanto è possibile – afferma Anna Caputo, presidente Arci Lecce – organizziamo dei corsi e delle attività specifiche e loro partecipano con grande interesse. Sono molto presenti anche nelle attività dei comuni dove risiedono a Tricase per esempio hanno partecipato al presepe vivente, ed è bello vedere che pure la gente risponde positivamente”.

Se il Natale è comunione, fratellanza allora pare che in questi centri siano state raggiunte. “Per noi è Natale tutti i giorni – dice Rossana Cacciatore, operatrice a Patù –. Sono contenti quando terminano un lavoro, con il cellulare lo fotografano e inviano le foto a casa, ai familiari per far vedere ciò che fanno. I prodotti poi li vendono ai vari mercatini e questo li rende ancora più orgogliosi. La nostalgia è il sottofondo della loro vita, e quando capiscono che il Natale è la festa della famiglia cresce di più”.

 

Minorenni arrivati in Italia senza genitori o adulti

Un albero addobbato e i regali sotto, poi i canti e le poesie: non manca mai il riferimento al Natale nel percorso educativo seguito dei minorenni nelle strutture che li accolgono. Anche qui, come per i più grandi, sono previste delle attività ludiche e ricreative per far capire le tradizioni legate al Natale. Senza una famiglia, però, tutto diventa freddo e di maniera. La possibilità che trascorrano le giornate di festa in una casa è legata alla figura del tutore volontario, che potrebbe farne richiesta. Al momento, in Puglia non è mai capitato. “Avrei aperto le porte di casa mia se avessi saputo che si può – afferma Maria Cristina Altieri della provincia di Bari, tutrice da anni – ora non ho un minore sotto tutela, ma di solito capita che vengano assegnati ragazzi che hanno già 17 anni e siano prossimi alla maggiore età: non c’è molto tempo per instaurare un feeling, appena diventano maggiorenni vanno via, molti lasciano l’Italia per raggiungere parenti o amici fuori. Per quanto riguarda il Natale vissuto nelle strutture, come si può immaginare, è sempre diverso e più freddo che non in casa in famiglia. E anche se molti sono musulmani, la tristezza e la nostalgia in questo periodo si fa più forte”.

“La Regione Puglia sta spingendo molto sulla figura del tutore volontario, la persona che rappresenti legalmente il minore straniero non accompagnato – informa l’addetta stampa del Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione – e sono frequenti i corsi di formazione per i tutori volontari e i nomi sono poi contenuti in un elenco e resi pubblici sul sito. Il tutore può andare a trovare il minore quando vuole o intervenire nel caso ci siano necessità legali. Può accoglierlo in casa propria per un giorno, basta fare richiesta. Naturalmente non può decidere da solo, e prima di ottenere un permesso ci sono diverse circostanze da valutare, in primis: evitare che all’interno della struttura ci siano discriminazioni”.

Diventare tutore è semplice, tra i requisiti fondamentali è chiesta la “disponibilità di tempo ed energie per esercitare la funzione”. Si viene selezionati e formati dai Garanti per l’infanzia e l’adolescenza.

 

Natale più freddo e brutale, però, è quello trascorso dalle donne in strada

Il Natale per Fatimah è stata la notte in cui ha deciso di scappare. Di lasciarsi dietro la violenza subita, gli insulti e le paure. Aspettava un bambino e non voleva rinunciarci per l’ennesima volta. Non voleva più che un uomo potesse usarla, picchiarla, umiliarla.

Arrivata dalla Nigeria in giovane età, con la promessa di lavorare in un luogo sicuro, è stata portata in strada e resa schiava. Durante il viaggio le hanno tolto i documenti, rendendola clandestina, poi ha subito violenza di gruppo e più volte è stata picchiata. Le è stato fatto un rito vudù: ha dovuto bere il sangue di alcuni animali sgozzati e così è iniziata la sua schiavitù. Ha provato a scappare, ma è stata presa e picchiata a sangue con delle catene. Portata in strada di nuovo è rimasta incinta tre volte e per altrettante le hanno praticato l’aborto clandestino con metodi cruenti.

Stanca di dover subire ancora, Fatimah ha trovato la forza di reagire e di prendere la mano tesa dagli operatori della Comunità Papa Giovanni XXIII sul campo contro la tratta delle donne. “Solo sei anni fa abbiamo iniziato l’unità di strada a Lecce – racconta Mina Varnasidis, un’operatrice – ma in poco tempo, grazie all’aiuto di don Oreste Benzi, siamo riusciti a mandare via dalla strada all’incirca 7.000 ragazze, un numero enorme, e sul nostro territorio è un fenomeno che va sempre crescendo”. I quattro operatori aiutati dai volontari sono per strada ogni settimana, sul tratto della 101, che collega Gallipoli a Lecce e in tutte le strade vicine.

“Come stai? Vieni con noi, ti portiamo a casa, in un posto sicuro – continua Mina -. Siamo gli unici che ci fermiamo a chiedere come sta, invece che quanto costa. O quanto soffre. Per loro è una novità che qualcuno si preoccupi. Ci avviciniamo alle ragazze che ormai ci conoscono e ci aspettano, e proviamo a tranquillizzarle e a convincerle di abbandonare la strada. Non è facile per loro decidere, perché sono bloccate dalla paura”. Ogni ragazza è minacciata, non può muoversi liberamente, su di loro il magnaccia ha un potere assoluto. Le nigeriane in particolar modo sono tenute sotto controllo con il ricatto di un debito altissimo da pagare e spaventate con le tradizioni locali, con i riti vudù, che temono moltissimo. “Le ragazze dell’Est invece sono buttate in strada dai propri compagni o mariti, avvicinarsi a loro è più complesso: sono sorvegliate a vista e ci fermiamo sempre nel momento in cui ci rendiamo conto che la situazione sta diventando difficile. Alla fine sono sempre loro a farne le spese.

Passa molto tempo prima che decidano di abbandonare la strada, si trovano in Italia perché si sono fidate una volta, hanno paura a farlo di nuovo. “Spesso abbiamo incontrato ragazze più grandi che pur avendo pagato il presunto debito non riescono a cambiare vita, si trovano sole e con la convinzione che la loro vita sia quella – spiega Mina Varnasidis – ed è davvero uno strazio sentirlo dire, lo dicono con tanto dolore: hanno perso tutto dalla dignità al futuro, sono psicologicamente ferite, morte dentro”. Gli aiuti in strada ci saranno anche nei giorni di festa, i giorni sono tutti uguali per chi presta soccorso. “Abbiamo visto avvicinarsi uomini di tutte le età e ceto sociale, dal signore con il macchinone e il seggiolino del bambino dietro, a chi si avvicina a piedi o con la bicicletta. E poi molti sono violenti, spesso rubano alle ragazze quel poco che hanno racimolato”. Il vero Natale, la rinascita avviene quando le ragazze decidono di andare via. “Inizia la rinascita, molto difficile, per le tante ferite riportate – spiega l’operatrice – Le accogliamo nelle case dove scattano tutte le misure di sicurezza per evitare che possano essere raggiunte. All’interno della struttura il lavoro è ricucire le ferite. Giorno per giorno, piano piano. L’amore è quello che ricostruisce e sana tutto, davvero. La gioia più grande è quando si sono riscattate, trovano un lavoro o si sposano e hanno dei figli. Dopo è bellissimo. Dopo sono anche loro che combattono insieme a noi ad aiutare le ragazze a non cadere nel tranello”. Come è successo a Fatimah, che ora è felice di festeggiare il Natale nella sua casa, finalmente libera, circondata dai suoi veri affetti.

(1/ continua)

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